Colf e badanti straniere: perchè sono invisibili?

Colf e badanti straniere: perchè sono invisibili?

In Italia i lavoratori e le lavoratrici domestiche regolari censite dall’Inps sono, nel 2020, poco più di 920 mila. Un po’ più della metà, 481 mila pari al 52% del totale, sono collaboratrici familiari (colf o baby sitter), mentre il 48%, pari a oltre 437 mila persone, sono badanti. Si parla al femminile perché l’89% di questi lavoratori sono donne. Più del 70%, inoltre, è straniero. Ma il mondo delle badanti e dei caregiver in senso lato, tutti coloro che operano a servizio di anziani, persone con disabilità, neonati, ammalati, è molto più ampio. C’è una quota di lavoratori e lavoratrici irregolari che, secondo le stime della Fondazione Leone Moressa (Associazione Artigiani di Mestre) e dell’Associazione Domina dei datori di lavoro domestici è superiore ai regolari: 1 milione 220 mila persone, sempre nel 2020. Il totale degli addetti al lavoro privato di cura supera quindi i 2 milioni di persone (2 milioni 141 mila).

Durante la pandemia il numero dei lavoratori domestici regolari è aumentato, soprattutto a seguito della regolarizzazione promossa dal governo che ha visto nel settore domestico 177 mila domande accolte, di cui poco più di 50 mila per le badanti. Negli ultimi dieci anni le colf sono calate di numero, le badanti sono sistematicamente aumentate. Basti pensare che nel 2010 le collaboratrici familiari erano 635 mila mentre chi badava agli anziani erano 293 mila lavoratrici. Tra le badanti prevalgono nettamente le lavoratrici non italiane: sono 318 mila quelle regolari nel 2020. Tra esse, troviamo in testa persone provenienti dall’Europa dell’Est, in primo luogo l’Ucraina. Italiani e italiane sono però in aumento: i 118 mila del 2020 sono il doppio del 2013.

L’esplosione degli assistenti familiari è legata alle dinamiche demografiche e sociali: la speranza di vita cresce, aumentano gli anziani e tra essi le persone che hanno bisogno di assistenza e, al tempo stesso, è meno frequente che l’assistenza agli anziani avvenga in famiglia, mentre l’arretramento del welfare pubblico ha spinto le famiglie ad affidarsi alle badanti. Vista la condizione di necessità, le famiglie sono state spesso costrette a ricorrere a lavoratori e lavoratrici straniere senza permesso di soggiorno o comunque in posizione non regolare.

Le retribuzioni di queste lavoratrici sono generalmente basse, pur considerando l’orario di lavoro. Dai dati dell’Inps sull’orario medio settimanale dei lavoratori domestici, la modalità più frequente è di 25 ore a settimana, ma non sono pochi quelli che lavorano più di 50 ore a settimana. Quasi l’85% dei lavoratori domestici hanno una retribuzione annua fino a 12 mila euro, che può arrivare a 15-16 mila euro in caso di tempo pieno e di convivenza e supera i 21-22 mila euro annui solo nel caso di assistenza a persone non autosufficienti da parte di un lavoratore formato. Ma sono pochissime le famiglie e i pensionati che possono permettersi di pagare gli stipendi di lavoratori con formazione specifica.

In questo quadro, lavoratori domestici e badanti sono soggetti deboli sul mercato del lavoro, per molti aspetti invisibili perché irregolari e fragili dal punto di vista dell’accesso ai servizi finanziari e al credito. Secondo le Acli, che attraverso i loro uffici e patronati offrono alcuni servizi anche a questi lavoratori, spesso l’accesso al credito c’è ma avviene attraverso prestiti di società finanziarie o, in qualche caso, vero e proprio credito illegale, l’usura. Con la pandemia e la crisi, nonostante la parziale regolarizzazione, la situazione è peggiorata. Sono stati 275 mila i lavoratori domestici che hanno chiesto l’indennità Covid, con 55 mila domande respinte.

Tuttavia, secondo la Fondazione Moressa e l’Osservatorio Domina, il valore aggiunto prodotto dal lavoro domestico e di cura, compreso quello irregolare, sfiora in Italia i 18 miliardi di euro e dà luogo ad una economia semi-ufficiale di un certo rilievo. Gli assistenti familiari e le badanti hanno spesso legami consolidati con le loro comunità e a volte competenze acquisite che non vengono valorizzate. Risparmiano, c’è chi ha il conto corrente o chi utilizza le Poste o i money transfers per mandare denaro a casa, nel Paese d’origine. È un’economia che può essere aiutata a crescere e a consolidarsi se si rafforza non solo la posizione regolare di questi lavoratori e lavoratrici ma anche la loro identità finanziaria. 

Per questi motivi, IncludiMi, progetto lanciato da Experian in collaborazione con Associazione Microfinanza e Sviluppo ONLUS ed Associazione MicroLab, mira all’inclusione finanziaria di questa fascia della popolazione: l’obiettivo è la valorizzazione delle loro competenze e relazioni per aiutarle a sfuggire alle situazioni di sovraindebitamento e acquisire un’autonomia finanziaria e sociale.

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